Turismo gastronomico: tutti i segreti della mozzarella di bufala campana
Profumata, morbida ma callosa, succulenta eppure mai troppo spugnosa: la mozzarella di bufala campana rappresenta uno degli ambiti food più amati a livello nazionale ed internazionale, tanto da attirare di per sé, come fosse un’attrazione turistica vera e propria, una grande fetta di turismo nella sua regione.
Ma da dove arriva questo legame così indissolubile con la sua terra d’origine?
Orgoglio DOP
Non tutti sanno che la mozzarella di bufala campana è DOP (Denominazione di Origine Protetta): questo significa che si tratta di un alimento le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono dal territorio in cui viene prodotto. In sostanza, i fattori ambientali, il clima ma anche le tecniche di lavorazione tradizionale sono tutti elementi che si combinano per dare vita ad un prodotto unico nel suo genere, che smette di esistere varcando i confini regionali. Ed ecco perché, sebbene il Consorzio di Tutela dedicato assicuri che il latte utilizzato per la produzione di mozzarella di bufala campana provenga non solo dalla Campania, appunto, ma anche da alcune zone del Molise, del Lazio e della Puglia, parliamo di un alimento che può essere mangiato fresco soltanto nel territorio in cui viene lavorato.
Storia
Prima che arrivasse a condire l’inimitabile parmigiana di melanzane, a sciogliersi nel tegamino che ospita gli gnocchi alla sorrentina o a fare compagnia alle fette di pomodoro nella semplice composizione della caprese, la mozzarella ha viaggiato attraverso secoli di storia fatti di dominazioni, contaminazioni e influenze. Tutto è, ovviamente, legato all’arrivo dei bufali in Italia, introdotti – secondo alcuni – già al tempo dei greci. Una delle ipotesi più accreditate secondo il Consorzio, però, si aggancia all’epoca Normanna, quando Saraceni e Mori portarono in Sicilia questi animali durante le loro invasioni (fine del X secolo).
I documenti più antichi che attestano la presenza delle bufale e dei loro prodotti sul territorio risalgono al XII e XIII secolo: fu quello, infatti, il periodo che seguì all’impaludamento delle pianure della Piana del Volturno e del Sele, rendendo gli ambienti ideali per l’allevamento ed il pascolo di questo tipo di animali che, inizialmente, erano tenuti in considerazione più che altro per la loro forza e l’utilità nel lavoro (inclusa la curiosa mansione di pulizia dei canali: il loro passaggio al passo o al nuoto, infatti, aiutava ad estirpare le alghe dai fondali ed evitava pericolosi imprevisti da straripamento). Per uno sviluppo vero e proprio della produzione si è dovuto aspettare il Seicento, per poi arrivare a noi e all’attuale filiera formata da allevamenti confinati e da una tradizione di lavorazione artigianale.
La peculiarità della “bufala mediterranea italiana” sta nel fatto che rappresenta una razza incredibilmente pura, rimasta lontana da contaminazioni di altri genotipi, pur attraversando i secoli: ecco perché questo animale straordinario, insieme al luogo in cui vive, è legato a doppio filo al suo prodotto.
Uno degli esponenti più amati e simbolici dell’intera dieta mediterranea, decretata tra le migliori al mondo in quanto al suo contributo sulla salute e sulla longevità!